DECRETO RILANCIO, LE ACCUSE DEL PMLI

95

 

A CURA DEL PMLI – ISCHIA

Lungi dal cogliere l’occasione di questa crisi senza precedenti per imprimere una svolta alla politica economica governativa, verso gli investimenti pubblici nella sanità, nella scuola, nei trasporti, nella cultura, nel turismo, nella difesa e manutenzione dell’ambiente, del territorio e del patrimonio edilizio, nello sviluppo del Sud e nelle energie rinnovabili e così via, il Decreto “Rilancio” da 55 miliardi, già annunciato a marzo e che al momento in cui scriviamo non è ancora arrivato alla firma del capo dello Stato, finisce per seguire la strada di ogni manovra economica di ogni governo borghese: soldi a pioggia sì, ma alle imprese. E quel che resta, cioè le briciole, alle masse. E questo al netto del doveroso e ancorché minimo sostegno alle piccole aziende e a milioni di lavoratori dipendenti, autonomi, partite Iva e altri lavoratori rimasti senza fonti di reddito,

Non c’è un piano di investimenti pubblici, e i soldi concessi alle imprese private, sia sotto forma di prestiti garantiti dallo Stato sia a fondo perduto, non sono nemmeno vincolati a precisi impegni di mantenimento dei livelli di occupazione. Manca anche ogni riferimento ai finanziamenti agli Enti locali, e in particolare ai Comuni, che hanno ormai le casse vuote per la sospensione degli introiti fiscali e saranno costretti a tagliare i servizi e l’assistenza ai cittadini. Inutile dire che tutti questi soldi sono messi in conto al già mostruoso debito statale, cioè alle generazioni future, giacché non si prende neanche stavolta in considerazione l’ipotesi di prenderli invece dal 10% più ricco della popolazione che si spartisce oltre la metà del reddito nazionale, attraverso una patrimoniale sulle grandi ricchezze, una tassazione veramente progressiva e colpendo finalmente l’evasione fiscale e la rendita parassitaria.

Questo decreto ribadisce fra l’altro la dittatura antivirus del premier Conte, estendendo quasi di soppiatto e senza una ragione plausibile di altri 6 mesi la scadenza dello stato di emergenza, fino al 31 gennaio 2021. Cosa che non è sfuggita a molti giuristi e accademici che da tempo chiedono a Conte di rientrare nei ranghi della Costituzione e della democrazia parlamentare borghesi. Tra questi citiamo una lettera aperta al presidente del Consiglio firmata da un nutrito gruppo di “professionisti del diritto” (avvocati e docenti universitari), e una lettera al presidente della Repubblica da parte dell’Osservatorio permanente sulla legalità costituzionale istituito presso il Comitato popolare beni pubblici e comuni Stefano Rodotà.

Ingenti finanziamenti alle imprese private

Dei 55 miliardi stanziati dal Decreto “Rilancio” le imprese ne ottengono ben 15, tra cancellazioni e sconti fiscali e contributi a fondo perduto per ricapitalizzazioni e spese di adeguamento della sicurezza al coronavirus, e questo al netto di 12 miliardi destinati a sbloccare i pagamenti della Pubblica amministrazione. Una fetta cospicua dell’intera torta, considerando che quasi metà della manovra, 25 miliardi, è assorbita dagli ammortizzatori sociali (cassa integrazione, Reddito di emergenza, congedi parentali e bonus baby sitter, colf e badanti ecc.), che comunque vanno anche a vantaggio delle imprese perché scaricano sulla collettività la crisi economica. Mentre appena una manciata di miliardi resta per il sostegno alla spesa sociale, tra cui i settori mai stati così strategici come la sanità e la scuola; per non parlare del Meridione, completamente ignorato dal provvedimento, se non per un taglio ai Fondi strutturali 2021-2027 per destinarli al Nord a coprire i danni della pandemia, come denuncia in un documento l’Usb Campania.

Erano 10-11 miliardi fino ad una settimana prima, ma poi le pressioni della Confindustria del falco Bonomi, dall’esterno, e quelle di Renzi e del ministro M5S Patuanelli dall’interno, hanno fatto salire il conto di altri 4 miliardi imponendo al ministro dell’Economia Gualtieri il taglio secco dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive) del saldo di giugno e dell’acconto per il 2021. E non solo per le aziende in sofferenza, ma per tutte le imprese fino a 250 milioni di fatturato, anche le tantissime che non hanno mai smesso di lavorare e fare profitti, magari infischiandosene dei rischi fatti correre ai lavoratori.

Oltre al taglio indiscriminato dell’Irap per 4 miliardi ci sono altri 6 miliardi di contributi a fondo perduto per le piccole imprese fino a 5 milioni di ricavi, distribuiti in proporzione alle perdite subite ad aprile 2020 rispetto all’aprile 2019, che possono arrivare fino a circa 60 mila euro, con un minimo di 1.000 euro per le persone fisiche e 2.000 per le aziende, fondi erogati subito dall’Agenzia delle entrate. Per le imprese medie, tra i 5 e i 50 milioni di fatturato, è previsto un mix tra interventi statali tramite Invitalia fino a 6 milioni di euro, anche in parte a fondo perduto, e sconti fiscali ai soci, con un credito di imposta del 30% degli aumenti di capitale se si sono registrate perdite di un terzo dei ricavi. Non si potranno distribuire dividendi, ma non sarà necessario “mantenere i livelli occupazionali”: cioè si potrà licenziare, sia pure perdendo lo sconto sugli interessi da pagare sulle obbligazioni. Le grandi aziende, quelle sopra i 50 milioni di fatturato, in crisi o alle prese con ristrutturazioni e bisognose di prestiti, potranno contare sull’intervento della Cassa depositi e prestiti e un apposito fondo di 50 miliardi garantito dallo Stato, che potrà entrare anche nel capitale.

Altri interventi in favore delle imprese

Ci sono poi altri 2 miliardi alle imprese, tra crediti d’imposta e contributi a fondo perduto per 403 milioni da parte dell’Inail per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, per attrezzature, strumenti di controllo, sanificazioni, acquisto DPI ecc. Le Regioni potranno erogare aiuti fino a 800 mila euro ad impresa, tra garanzie sulla liquidità, riduzione dei tassi sui prestiti e a fondo perduto: in particolare potranno pagare fino all’80% del salario dei dipendenti di aziende in crisi per evitare licenziamenti. Molto consistente inoltre è l’intervento per il settore del turismo, 4 miliardi, che includono il bonus vacanze fino a 500 euro per le famiglie con Isee fino a 40 mila euro, la sospensione dell’Imu per alberghi, B&B, campeggi e stabilimenti balneari e il rinvio a ottobre per tutti della tassa sull’occupazione del suolo (Tosap). Sarebbero da conteggiare negli aiuti alle imprese anche i bonus edilizi per l’adeguamento energetico e antisismico degli edifici, tramite un credito di imposta del 110% a beneficio del condominio o del singolo proprietario, cedibile a imprese e banche e quindi subito scontabile dalla spesa. Ma la tipologia di lavori piuttosto costosi e impegnativi fa prevedere che ne potrà usufruire solo una minoranza di cittadini di ceto medio-alto.

Anche il settore dell’editoria riceverà alcune centinaia di milioni, tra taglio dell’Iva forfettaria, credito d’imposta sulla pubblicità e sulle spese per il digitale. Vanno messi in conto altri aiuti, anche a fondo perduto, come un pacchetto di 450 milioni per il settore dell’export, il credito di imposta del 60% per gli affitti delle imprese fino a 5 milioni e perdita del fatturato del 50% ad aprile, limite che non vale per gli alberghi, il taglio di 600 milioni alle bollette per le piccole e medie imprese, l’ulteriore rinvio a settembre di tutte le scadenze fiscali come anche di tutte le cartelle esattoriali, il rinvio al 1° gennaio 2021 della sugar tax e plastic tax.

Tra le concessioni alle imprese rientra anche il “fondo formazione” da 230 milioni, fortemente voluto dalla ministra pentastellata Catalfo per alleggerire le aziende dagli effetti del prolungamento del blocco dei licenziamenti per altri tre mesi fino al 23 agosto (attraverso il parcheggio di lavoratori in “esubero” nei corsi di formazione), misura che per alcuni giorni era stata spacciata come “riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario”. Così come ci rientra la proroga di tutti i contratti a termine, per un totale di 1,5 milioni di rapporti che stanno per scadere, senza più l’obbligo di indicare la causale come stabilito dal “Decreto dignità”.

Cassa integrazione e indennità di disoccupazione

Come abbiamo già detto le misure di sostegno al lavoro assommano a circa 25 miliardi, comprendendo 16 miliardi per prolungare di altre 9 settimane la Cassa integrazione (peraltro non ancora arrivata quella di marzo e aprile a tantissimi lavoratori, specie quella in deroga che passa per le Regioni, e che perciò da maggio sarà erogata direttamente dall’Inps), scaglionate tra febbraio e ottobre. E poi: il prolungamento delle indennità di disoccupazione in scadenza Naspi e Discoll per altri due mesi; la proroga dei congedi parentali e dei bonus baby sitter per i lavoratori con figli da accudire; il rinnovo dell’indennità di 600 euro ad aprile e 1000 euro a maggio per gli autonomi e le partite Iva; il Reddito di ultima istanza da 600 euro per aprile e maggio ai lavoratori esclusi dagli aiuti ad autonomi e partite Iva. A questi vanno aggiunti i sussidi a colf e badanti e il Reddito di emergenza (Rem) per i più poveri non tutelati dalle altre misure.

 

FINE PARTE 1 – LA SECONDA SARA’ PUBBLICATA NELL’EDIZIONE DI SABATO 23 MAGGIO