ANGELI O PASTORI? GLI AUGURI DI NATALE DEL VESCOVO LAGNESE

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Angeli o pastori?
Abbiamo fatto il presepe? E gli angeli dove li abbiamo posti?
Con i piedi sul tetto della stalla o appesi, con il filo di nylon, sotto un
cielo stellato rigorosamente di color blu notte – di stoffa o di carta, poco
importa -, sempre alati e, nella maggior parte dei casi biondi, gli angeli, mai
possono mancare nel presepe.
A volte ce n’è uno solo, altre volte tanti; ma sempre là, sulla grotta – è
quello il posto! – mentre, tenendo tra le mani uno striscione, cantano in
coro: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che
egli ama».
Nel presepe, dovendo raccontare il prima e il dopo, noi li mettiamo là,
sulla stalla di Betlemme, ma di fatto essi sull’alloggio di fortuna, dove
nasce il Bambino, proprio non ci stanno; non sostano in adorazione sulla
greppia, né sulla mangiatoia danno segnali particolari. Dio vuole nascere in
maniera straordinariamente normale – ama fare così! – e, pur essendo quella
una nascita tutta singolare, vuole presentarsi a noi senza effetti speciali, ma
con modalità incredibilmente usuali! Il Figlio di Dio, il cielo lo ha
abbandonato veramente e l’incarnazione ha deciso di viverla tutta quanta!
Mandati a portare il lieto annuncio altrove, gli angeli chi sono? Sono –
mi dico – l’immagine della Chiesa: come loro chiamata ad uscire, ad andare
anch’essa fuori, da un’altra parte, per annunciare una gioia grande in ogni
posto e in tutti i luoghi, soprattutto nelle zone più depresse e degradate, per
portare ai pastori, quelli di sempre, ai poveri cioè e agli ultimi della terra, a
quanti non contano e sono dei perdenti, la notizia – e che notizia! – la più
straordinaria che ci sia, sorprendente, inconcepibile e inaudita,
scandalosamente bella: Dio si è fatto uomo! Gli uomini li ama: veramente!
E per loro ha desideri di vita e di bene, di amore e di pace unicamente. Dio
si è fatto come noi. È qui! In mezzo a noi! E per noi ha lasciato il Cielo. Si
è fatto debole, inerme, fragile, Bambino; tutto disposto a darsi e a perdere.
Pronto a soffrire; fino a morire. Le fasce in cui è avvolto già lo dicono. E
quella mangiatoia, del suo donarsi come pane, è segno assai eloquente.
Signore – domando – riusciremo a fare come gli angeli? Quando
diventeremo – come annuncia San Paolo – uomini celesti? Ed io, che ancora
arranco, quando arriverò a fare come loro nella mia vita di ogni giorno? E
ancora: la Chiesa riuscirà a imitare gli spiriti beati? Ad annunciare il Cielo
e l’Amore veramente? Ce la farà ad essere meno ingombrante e più libera
da condizionamenti? A preferire i cori agli assoli, per essere più luminosa e
trasparente, essa stessa annuncio e profezia della Vita altra tra la gente?
Sono domande – di certo – importanti, ma che potrebbero dar vita a
scoramento.
Continuo però nella lettura del vangelo e mi viene spontanea una
costatazione: coloro che stanno nelle vicinanze della stalla sono in effetti
proprio i pastori! Essi sì che stanno vicino al Bambino! Sono loro che
vanno, alla grotta, senza indugio, e là si fermano in adorazione. Sì, Dio ha
deciso di mostrarsi proprio a loro. Primi fra tutti, vanno, vedono e
raccontano. E poi? E poi fanno esattamente come gli angeli. Senza le ali e
con i piedi per terra, si mettono in cammino e, strada facendo, cominciano
ad annunciare. Dice San Luca: «I pastori se ne tornarono, glorificando e
lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto
loro». Sono loro ora gli evangelizzatori. Sono loro i nuovi messi
viaggiatori. E proprio come gli angeli portano la gioia, glorificano e lodano
Dio, annunciando ciò che Lui ha fatto loro vedere.
I nuovi angeli sono i pastori. Dio sceglie i poveri anche per farsi
annunciare. Anche io e anche tu, possiamo farlo. Anche se non siamo
angeli potremo essere pastori. Se almeno ci riconosceremo poveri,
semplicemente, saremo anche noi testimoni dell’Amore.
Santo Natale 2018.
+ Pietro