Ischia è un’isola a rischio. È «un paradiso perduto». È diventata il simbolo «dell’anarchia urbanistica», dei «famigerati diritti acquisiti dagli abusivi», «del cemento libero su ogni cosa», «dell’incuria come metodo», «dell’allergia all’idea stessa di prevenzione». E da certi luoghi, dalle aree più pericolose, «si può andare solo via». Sono frasi di Mario Tozzi, ovvero di uno dei più noti e convincenti divulgatori scientifici italiani. Geologo, saggista, autore e conduttore televisivo, Tozzi ha scritto un libro sul dissesto del territorio che farà moto discutere. Si intitola «Oltre il fango. Una nuova visione per uscire dal rischio idrogeologico» (Rai Libri).
Il capitolo sull’Isola Verde
Ma farà molto discutere non già, come pure meriterebbe, per la nuova visione che propone, per l’appello pressante a «restituire natura» ai fiumi e alle montagne, a non costringerne la vita e il respiro in forme artificiali, in argini correttivi e dighe, muraglioni e sbancamenti fuori misura; o a minacciarla con infrastrutture che troppo spesso si rivelano più invasive che salvifiche. E neanche farà discutere per i dettagli sorprendenti che pure riporta, come ad esempio che sarebbe preferibile non accanirsi nella pulizia degli alvei, perché lo si fa anche troppo e la mancanza di sedimento causa crolli delle sponde e delle pile dei ponti. O per i continui rimandi agli studi e ai dati che documentano il consumo del suolo da Bardonecchia a Sarno e il globale riscaldamento atmosferico. Questo libro farà rumore soprattutto per le pagine dedicate a Ischia, appunto: un intero capitolo che risuona come un segnale d’allarme, come un tuono che rompe il sereno, e che riduce di molto i margini di ottimismo che ancora permangono. C’è un patto tacito, scrive Tozzi, che l’uomo stipula con la natura quando si ostina a vivere in territori a rischio, un patto che permette di vivere nei deserti purché lo si faccia sottoterra, sulle coste purché non si tocchino le dune e le foreste planiziali, e sui terreni ripidi di montagna purché li si curi spezzandosi la schiena tutti giorni dell’anno. Questo patto è stato violato in molti luoghi d’Italia, come alle Cinque Terre o lungo i fianchi del Vesuvio. Eppure è a Ischia, non a caso, che è dedicato il capitolo più allarmato.
Il paradiso perduto
Comincia così: «Ischia è stata uno dei paradisi d’Europa per decenni, se non per secoli, e ha continuato a esserlo perfino dopo il terremoto del 1883 e l’alluvione del 1910. Ma oggi periodicamente assomiglia a un inferno, e le ripetute alluvioni con frane (la penultima del 2010) e il terremoto del 2017 lo testimoniano drammaticamente». Ma poi il racconto prende letteralmente il volo e continua con un’immagine aerea del margine settentrionale dell’isola, là dove «la natura originaria è cancellata, sostituita da lacerti di paesaggio addomesticato, e l’ambiente è strapazzato»; per atterrare infine sull’inevitabile riferimento all’abusivismo di cui «l’isola è regina incontrastata», un vero e proprio «festival della bulimia costruttiva che ha pochi pari in Italia», con 60.000 abitanti e più di 27.000 pratiche di sanatoria per abusi presentate in occasione degli ultimi tre condoni nazionali, senza contare i 600 edifici che da anni sono in lista d’attesa per essere abbattuti. E che mai lo saranno, chiosa Tozzi.
La denuncia
Tutto questo in un’isola in cui il comune più grande (Ischia) presenta oltre un terzo della sua superficie a rischio (4000 abitanti, quasi il 20% della popolazione) e in cui insistono comuni come Forìo, Barano, Lacco Ameno, che presentano circa la metà del territorio esposta alla precarietà idrogeologica, per non dire di Casamicciola, con più di 3000 persone residenti in aree insicure. Tozzi descrive, denuncia e profetizza. E sa bene a cosa andrà incontro. Ma non retrocede. Anzi: «Dispiace – dice – ripetere queste parole, ma non sono dettate dal pregiudizio (peraltro, come nipote di napoletani mi sarebbe difficile) o da un malinteso senso di superiorità. Sono solo frutto dell’osservazione di quanto avviene ormai da decenni, e della rabbia di aver provato a farlo notare, ricevendone in cambio solo l’accusa di non amare l’isola o di essere un menagramo…».