LE ASSOCIAZIONE IN DIFESA DEL DIRITTO ALLA CASA: “VESSATI DALLA POLITICA E DAGLI AMBIENTALISTI”

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Non cessano le polemiche sulla questione dell’abusivismo e delle sanatorie, esacerbate dal dibattito parlamentare sul decreto per la ricostruzione post sisma dell’isola d’Ischia e dalle tante inesattezze ascoltate nella narrazione dei mass media nazionali. L’ostilità che impedisce di comprendere la complessità del tema ha indotto l’Unione Associazioni in difesa del Diritto alla Casa a emettere un articolato comunicato, firmato da Raffaele Cardamuro e Domenico Esposito: «Ci appare – scrivono i due – come un dato di fatto che l’ipocrisia giustizialista e un certo ambientalismo da salotto televisivo non hanno né protetto i territori né quanti lo abitano. Un’autentica difesa dell’ambiente sarebbe dovuta confluire anche in soluzioni politiche in grado di contemperare la tutela dei valori paesaggistici con le esigenze fondamentali di una popolazione, convenendo in ogni caso nel riconoscimento del limite rappresentato dal rischio idrogeologico, dal rischio da calamità naturale e dal rispetto degli equilibri naturali. L’abusivismo costituisce una realtà storica, la quale, specie in alcune regioni del Meridione d’Italia, è riconducibile a consolidati schemi collusivi che hanno fatto leva su un uso strumentale del territorio, nel silenzio della Magistratura. Su 158 Comuni in provincia di Salerno, appena 6 sono dotati di un Piano urbanistico e che ben 117 sono dotati di un Piano regolatore generale, strumento che risale alla fine degli anni Settanta – (Fonte: Il Mattino). Un tale modello collusivo ha garantito profitti, vantaggi personali, consensi elettorali a politici e imprenditori locali. È un modello di malaffare che si è fatto spazio nei vuoti normativi, nei gangli della burocrazia, attraverso omissioni e inadempienze amministrative. L’abusivismo edilizio si è sviluppato nel contesto di una carenza generale di pianificazione territoriale o in presenza di una pianificazione volutamente piegata a gruppi di interesse imprenditoriali. In più circostanze si osserva una vera e propria spartizione del territorio tra politica ed imprenditoria perpetrata attraverso piani e varianti cuciti ad arte sugli interessi di alcuni, a tutto svantaggio di una più equa distribuzione dello ius aedificandi. O ti comperi un appartamento nella palazzina appena costruita, accollandoti un mutuo trentennale alle insostenibili condizioni imposte dal “libero” mercato o niente, non hai soluzioni. Al limite ci sono altrettanto  trentennali liste d’attesa per lo scorrimento in graduatoria per l’assegnazione di un alloggio popolare. In certe terre “housing sociale” è parola nuova e sconosciuta. Come sconosciute sono politiche abitative volte a favorire l’accesso ad una dignitosa abitazione (un diritto che altrove hanno costituzionalizzato e che prende il nome di “right to adequate housing” – art. 25, Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo; art. 11, Convenzione Internazionale dei diritti economici, sociali e culturali). In tutto questo si è pensato bene invece di demolire – secondo non precisati criteri – ed a volte anche in pieno centro urbano, manufatti di modesta entità destinati a prima ed unica abitazione, senza per giunta ottenersi alcun apprezzabile effetto di deterrenza sulla vera speculazione. A farne le spese, solo famiglie che sono state lasciate prive di un’adeguata abitazione. Da qui la necessità di un provvedimento legislativo che intervenisse su una materia complessa ma anche delicata, provvedendo ad una razionalizzazione delle demolizioni. Oggi esprime – tristemente – tutta la sua importanza il noto DDL Falanga, recante disposizioni in materia di graduazione delle procedure di demolizione. Ispirato ad accordi di programma formulati da talune Procure della Repubblica, il ddl Falanga, affossato negli ultimi giorni della scorsa legislatura, guarda caso prevedeva – disciplinandolo al 1° comma – che si desse priorità nell’esecuzione delle demolizioni proprio ad: a) immobili che, per condizioni strutturali, caratteristiche o modalità costruttive ovvero per qualsiasi altro motivo, costituiscono un pericolo, già accertato, per la pubblica e privata incolumità, anche nel caso in cui l’immobile sia abitato o comunque utilizzato. (ddl S. 580-B Falanga, Aiello et alii)  Tanto ci sembra sufficiente per fare un punto della situazione. Ma senza polemica, per onor del vero, ci preme ricordare: non fu il PD alla Camera ad affossare orgogliosamente tale disegno di legge sulla base di considerazioni preconcette prive di una reale forza argomentativa? Non fu – fuori dalla Camera – un movimento ecologista che istituiva un improbabile collegamento tra tale ddl e la camorra, a contribuire al suo affossamento? Senza proporre peraltro soluzioni alternative. Per inciso nei commi successivi, il ddl Falanga prevedeva la demolizione – in via prioritaria – di immobili “anche stabilmente occupati utilizzati per lo svolgimento di attività criminali” (art 1, lettera c). Cos’altro è questo se non ambientalismo da salotto? Ci auguriamo che dalla retorica – probabilmente anche sentimentalista di queste ore – si possa passare alla formulazione di soluzioni concrete». Un auspicio che anche sull’isola d’Ischia sono in tanti a nutrire.