SPACCIO DI STUPEFACENTI, NESI CONDANNATO A UN ANNO E OTTO MESI

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E’ arrivato il verdetto del giudice della sezione penale del tribunale di Ischia nei confronti di Umberto Nesi, accusato di spaccio di sostanze stupefacenti: Un anno e otto mesi di reclusione.  Come qualcuno ricorderà, l’ischitano era stato arrestato lo scorso febbraio insieme a Denis Vuoso, nell’ambito di un’indagine complessa che andava avanti da tempo, condotta dai carabinieri della Compagnia di Ischia guidati dal capitano Andrea Centrella, insieme agli uomini delle Stazioni di Barano e Casamicciola coordinate dai marescialli Gennaro Bonavoglia e Arturo Battello e ai militari del Nucleo Operativo Radiomobile guidati dal luogotenente Sergio De Luca. I militari avevano ricostruito uno scenario nel quale risultano nuovi canali dello spaccio di droga consolidatisi sulla nostra isola. I punti nevralgici di tale traffico illecito furono localizzati al Testaccio nel comune di Barano, e a Ischia in via Sogliuzzo presso un noto bar. I due punti erano rispettivamente  il luogo dove è situata l’abitazione di Vuoso  e l’attività presso il quale il Nesi prestava la sua opera. E l’azione dei militari fu condotta proprio in simultanea nei due punti, con una sincronia pressoché perfetta, con lo scopo di non lasciare possibilità di comunicazione tra i due soggetti. Sul versante-Ischia, gli uomini guidati dal luogotenente De Luca bloccarono Nesi nel bar, durante la sua attività di cameriere, con addosso circa 9 grammi di hashish, per poi rinvenire nella sua abitazione diverse stecche di sostanza oltre a 800 euro in contanti. Un’attività, quella dello spaccio, che secondo l’accusa era portata avanti per “arrotondare” le entrate e messa in piedi tramite una sorta di “società” col Vuoso il quale, a quanto sembra, ricopriva anche il ruolo di corriere. Proprio a casa di Vuoso, nell’operazione di perquisizione, in diversi punti dell’abitazione i militari avevano reperito circa 900 grammi di hashish.

Ieri mattina si è concluso il processo nei confronti del solo Nesi. Nel corso della discussione finale, la pubblica accusa ha chiesto una condanna a ben sei anni di reclusione per l’imputato, difeso dall’avvocato Carmine Bernardo. Quest’ultimo si è prodotto in un’articolata arringa per evitare che la condanna richiesta dal p.m. si abbattesse sul proprio cliente. Il penalista ha ricordato la condizione di incensuratezza dell’imputato, appartenente a una famiglia di lavoratori, e a sua volta lavoratore presso un accorsato bar. Un bar dove, secondo la difesa, non è mai stata rinvenuta alcuna prova a supporto dell’ipotesi investigativa secondo cui l’esercizio commerciale costituisse una “piazza di spaccio”. Inoltre, quando i Carabinieri fanno scattare i controlli nel bar, fu lo stesso Nesi a consegnare, in modo del tutto spontaneo, le tre dosi di stupefacente, tipo hashish, ai militari dell’Arma. Questi proseguirono nella perquisizione del bar, senza trovare null’altro, prima di recarsi nell’abitazione dell’imputato: anche qui, fu lui stesso a consegnare spontaneamente altre 26 dosi di hashish ai Carabinieri, con un atteggiamento totalmente collaborativo. I militari infatti non rinvennero nessun altro quantitativo di stupefacenti all’interno dell’appartamento. Né fu trovato alcun attrezzo o strumento per suddividere la sostanza in dosi da spacciare. L’avvocato ha spiegato che mancò anche un’analisi dello stupefacente al fine di stabilire la quantità di principio attivo e dunque il grado di offensività della sostanza. Il difensore di Nesi ha anche contestato l’ipotesi dell’esistenza di una piazza di spaccio sul territorio, dal momento che nel corso del dibattimento i componenti delle forze dell’ordine impegnati nelle indagini si limitarono ad affermare che tale scenario gli era stato comunicato dalle classiche “fonti riservate”, e comunque, secondo la difesa, non erano state riscontrati altri indizi che facessero preconizzare una vera piazza dedita al commercio abituale di stupefacenti. Il rinvenimento di una comunicazione tramite messaggio via cellulare con Vuoso, relativa a una trentina di dosi, e la differenza con le 26 rinvenute nell’abitazione del Nesi, aveva fatto supporre agli investigatori che le dosi mancanti fossero state vendute, materializzando così il reato di spaccio, ma secondo l’avvocato Bernardo non emerse alcuna prova a supporto: Nesi potrebbe aver consumato tali dosi per uso personale. L’avvocato ha anche citato una direttiva della Procura di Bologna, che fissa in duecento grammi il limite al di sopra del quale la quantità di stupefacente non può dare luogo a ipotesi attenuate, mentre Nesi fu trovato in possesso complessivamente di soli 83 grammi. La difesa ha ricordato che nelle operazioni d’indagine fu coinvolto un altro ragazzo, Vittorio Migliaccio, che patteggiò la pena a poco più di un anno pur essendo trovato in possesso di una quantità ben superiore di stupefacente. Richiamandosi a una serie di pronunce giurisprudenziali, l’avvocato ha chiesto in via principale l’assoluzione per non aver commesso il fatto visto che l’attività di spaccio era stata solo dedotta e mai accertata, e in subordine il riconoscimento dell’ipotesi attenuata ai sensi dell’articolo 73 quinto comma del Testo unico sugli stupefacenti, con la concessione delle attenuanti e il riconoscimento della sua condizione di incensurato. Il giudice, tuttavia, in base agli articoli 533 e 535 del codice di procedura penale, ha dichiarato l’imputato colpevole del reato ascrittogli: pur con la concessione delle attenuanti generiche, Nesi è stato condannato a un anno e otto mesi di reclusione e adiecimila euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali, con pena sospesa.