STRISCIONE AL SOCCORSO, CONDANNA PECUNIARIA PER GIGI LISTA

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Si è concluso ieri mattina il processo che ha visto contrapposti il sindaco di Forio, Francesco Del Deo, e i due attivisti Luigi Lista e Antonio Tortora. Per questi ultimi è arrivata una condanna a 600 euro di multa e al pagamento delle spese processuali. I due, per i quali il giudice ha applicato le attenuanti generiche, sono stati inoltre condannati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi dinanzi alla competente autorità giudiziaria civile, e al pagamento delle spese processuali sostenute dalle stesse parti civili, liquidate in duemila euro. La pena è stata dichiarata sospesa. La vicenda, come si ricorderà, trae origine dall’affissione di uno striscione nei pressi del piazzale del Soccorso a Forio, sul quale c’era scritto: “Sindaco corrotto, camorra del porto, il fascista buono è quello morto”. Un testo che venne considerato come rivolto al primo cittadino in carica, e della cui affissione furono ritenuti responsabili proprio Lista e Tortora. Nel processo, prolungatosi oltre misura a causa di una lunga serie di rinvii variamente motivati, fu ascoltato lo stesso sindaco, oltre ad alcuni testimoni a partire dal maresciallo capo Fabrizio Pordon e Giuseppe Colella. Entrambi spiegarono di essersi imbattuti nello striscione quando era già appeso alla parete. Colella spiegò di aver riconosciuto i due imputati. La testimonianza che invece chiamava espressamente in causa le responsabilità dei due fu quella di Antonio Ruggiero, dipendente della Ego Eco, l’azienda che all’epoca dei fatti si occupava della raccolta dei rifiuti nell’ambito del territorio del Comune. Il Ruggiero dichiarò che nella notte tra il 16 e il 17 febbraio 2015 notò la presenza, nei pressi del piazzale del Soccorso, di Gigi Lista e di Antonio Tortora, che sarebbero stati intenti ad affiggere lo striscione.

Ieri mattina, nelle arringhe finali l’avvocato Giuseppe Di Meglio, difensore del primo cittadino di Forio, ha chiesto il riconoscimento della penale responsabilità degli imputati e la condanna al risarcimento dei danni quantificati in diecimila euro. L’avvocato Antonio Trani, subentrato ad aprile nella difesa di Gigi Lista e Antonio Tortora, fin lì difesi dall’avvocato Nicola Nicolella, ha invece rivendicato la mancata prova della responsabilità dei due imputati, innanzitutto perché il nome del sindaco non era citato nello striscione, impossibile dunque capire a quale primo cittadino isolano, e a quale scalo portuale, si facesse riferimento nella scritta. L’avvocato Trani ha richiamato i diversi orientamenti  politici delle parti, delineando l’attivismo di Lista come antagonista alle posizioni del sindaco. Nel dettaglio, la difesa ha connotato Lista come un attivista di destra, dunque non del tutto ostile all’idea fascista, mentre sullo striscione ci si riferiva a un sindaco fascista connotandolo in modo spregiativo o comunque negativo. Cosa che, secondo l’avvocato Trani, sarebbe incompatibile con l’appartenenza di Lista a un’area politica comunque vicina alla destra. La difesa ha infatti invitato il giudice ad acquisire la pubblicistica locali, in primis quella dei quotidiani isolani, per rendersi conto delle relazioni tra parte civile e imputati e comunque dell’humus politico nel quale si è sviluppata la vicenda.

Secondo la difesa le testimonianze sono inattendibili: innanzitutto, ha dichiarato l’avvocato, è quantomeno strano che uno striscione del genere venga posizionato in pieno giorno, e nessun cittadino ne abbia avuto contezza. Inoltre uno dei due testimoni, Colella, era consigliere comunale facente parte della maggioranza guidata dal sindaco Del Deo, le cui dichiarazioni peraltro presentano alcune discrasie tra quanto dichiarato in sede d’indagine e quanto detto poi durante la testimonianza. L’altro testimone, Ruggiero, in quanto dipendente comunale, secondo la difesa sarebbe  indirettamente influenzabile da quelle che l’avvocato Trani ha definito le tipiche dinamiche dei piccoli comuni. Definendolo un processo politico, la difesa aveva chiesto l’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. A fine udienza, come detto il giudice  pur con l’applicazione delle attenuanti generiche e la sospensione della pena, ha tuttavia ritenuto sussistente la colpevolezza degli imputati.